l’obbligo rituale dello scambiare, la difficile arte del condividere.
Di Renzo Carli*; Rivista di Psicologia Clinica n.1 – 2012
Abstract
Si ripercorrono le nozioni di possesso e scambio. Caratteristica definitoria del possesso, impossibile, è la distruzione dell’oggetto posseduto. Si guarda allo scambio nell’ottica antropologica del dono, analizzando in un’ottica psicologico clinica la proposta di Marcel Mauss. Alle due nozioni si aggiunge quella di condivisione, quale convergenza della relazione sulla cosa terza che catalizza l’interesse dei protagonisti della relazione stessa.
Parole chiave: Possedere; Scambiare; Dono; Alterità
Premessa
Lucio D’Ambra, nom de plume di Renato Eduardo Manganella (scrittore vissuto a cavallo tra ottocento e novecento) scrisse una “trilogia della vita in due”; i titoli dei tre libri, nella mia infanzia, colpirono la mia immaginazione, mi sembravano tra i più interessanti della biblioteca di mio padre: Il mestiere di marito; La professione di moglie; L’arte di essere amanti. Mi colpiva la progressione di una sequenza ove mestiere, professione e arte stavano ad indicare tre modi diversi di interpretare la vita in due. Non ho mai letto quei libri; mi affascinavano quei titoli, il nome dell’autore che sapeva di finto, lontano un miglio, ma che proponeva una sua musicalità anni trenta.
In un recente passato abbiamo proposto una contrapposizione tra possedere e scambiare (1). Con questo lavoro vorrei ampliare la proposta e passare da una dimensione dicotomica ad una “trilogia”:possedere, scambiare, condividere. Potremmo anche dire, parafrasando Lucio D’Ambra, che
il possedere è un mestiere, lo scambiare una professione, il condividere un’arte.
Credo, peraltro, sia ingiusto dare una connotazione giudicante a modi di essere e di comportarsi che, in momenti diversi della vita, appartengono a tutti noi. Ciò che interessa sottolineare è la rilevanza del modo d’essere inconscio della mente e del suo destino, fluttuante tra agito e pensiero, che caratterizza l’esperienza di tutti noi. In questa proposta, l’inconscio sembra caratterizzare, con la sua dinamica agita, sia il possedere che lo scambiare; il pensiero, che investe la dinamica di simbolizzazione affettiva e la confronta entro la realtà della cosa terza, caratterizza il processo del condividere. Questo processo di pensiero può succedere solo entro una relazione. La cosa terza è “terza” rispetto ad una relazione che si orienta alla realtà condivisa. La condivisione, quindi, si propone quale modalità di pensiero rivolta ad una dinamica collusiva che concerne specifici aspetti della realtà. Nel possedere e nello scambiare, la realtà viene piegata, sottomessa al potere delle simbolizzazioni affettive, seguendo quel processo che Freud chiamò: sostituzione della realtà esterna con la realtà interna. Nel condividere, di contro, le simbolizzazioni affettive, pensate, consentono di condividere aspetti della realtà e di operare per il loro sviluppo.
L’illusione di possedere
Per il mio cinquantesimo compleanno, un collega mi regalò un bonsai: un boschetto di ficus dai tronchi tormentati e dalla chioma uniforme che riproduce, con le sue foglie disposte in perfetta forma convessa, il concavo del vaso blu. Si tratta di una pianta molto bella, che vive sul mio terrazzo da venticinque anni. Quando mi fu regalato, il bonsai aveva circa sessant’anni. Oggi ne ha più di ottanta. Questo bonsai è “mio”? Posso dire di possederlo? O sarebbe meglio dire che mi è stato dato in “deposito”, perchè lo conservi, lo tenga in vita e me ne prenda cura, per poi passare la pianta ad altri che, speriamo, se ne vorranno prendere cura a loro volta; il bonsai, se ben tenuto, certamente mi sopravviverà.
Su una parete del mio studio è appeso un piccolo quando a olio, un bozzetto di una tela più grande, attribuito a Sebastiano Ricci (Belluno 1659 – Venezia 1734); nella disposizione delle figure e nel colore, ottenuto con sapienti velature atte a mostrare la luce intensa e soffusa della città lagunare, il bozzetto può rappresentare in miniatura (ancora un bonsai) un buon esempio della pittura veneziana del settecento. Sebastiano Ricci era pittore manierista di storie mitiche, precursore di Giambattista Tiepolo, culturalmente di formazione europea pur rimanendo veneziano nell’animo. Il bozzetto ne è valida testimonianza. Possiedo questo dipinto da una cinquantina d’anni. E’ mio? Prima del mio studio, il bozzetto ha abitato certamente molte altre stanze, in varie parti d’Italia o d’Europa. La sua vita dura da più di duecento anni.
E’ mio, o io sono il conservatore di questo dipinto che, come il bonsai, mi sopravviverà e verrà appeso in altre stanze, abitate da altre persone?
La casa in cui abito, a Trastevere, è mia? O meglio, è nostra, di noi che l’abitiamo e giuridicamente ne possiamo rivendicare il possesso? O si tratta di una ennesima situazione di conservazione? Conservazione di un oggetto, la casa, costruita qualche centinaio d’anni fa, oggi curata e abitata dalla mia compagna e da me, che si spera proseguirà la sua vita per qualche secolo ancora, usata da persone diverse da noi.
Potrei continuare a lungo. Il possedere rappresenta una forte motivazione, nella vita di ciascuno di noi. Nel contempo, è per noi impossibile possedere qualcosa. Nel Fedone, Platone fa dire a Socrate che il mantello sopravvive a chi lo porta (Fedone, XXXVII). L’unica modalità con la quale si può esprimere il possesso, lo racconta Bruce Chatwin in un suo noto romanzo breve (2), è la distruzione dell’oggetto posseduto. L’atto di distruzione, come atto opposto alla conservazione, è l’unico a dare un senso pragmatico al possesso di un oggetto. Kaspar Utz, il protagonista del lavoro di Chatwin, era l’ultimo discendente di una piccola famiglia di proprietari terrieri sassoni, con terreni e fattorie nei Sudeti. Di origini ebree per via di madre, Utz “possedeva una spettacolare collezione di porcellane di Meissen che, grazie alle sue abili manovre, era sopravvissuta alla seconda guerra mondiale e agli anni dello stalinismo in Cecoslovacchia. Nel 1967 contava più di mille pezzi, tutti stipati nel minuscolo appartamento di due stanze in via Sirokà.” (1988/1989, p. 14-15). Una via che dava sul vecchio cimitero ebraico di Praga.
La ricca nonna, quando Utz era preadolescente, accontentò un suo desiderio, espresso quattro anni prima, e gli regalò la statuetta di un Arlecchino, creata da J.J. Kaendler, grande modellatore di Meissen. Così ebbe inizio la sua passione di collezionista: “Kaspar fece ruotare la statuetta alla tremula luce delle candele e passò amorevolmente le dita tozze sulla vernice vetrosa e sugli smalti brillanti. Aveva scoperto la sua vocazione: avrebbe dedicato tutta la vita a collezionare – a ‘salvare’ come diceva poi – le porcellane della fabbrica di Meissen” (p. 17).
Interessante come il possesso di un oggetto si manifesti con il toccare, il passare le dita sulla superfice dell’oggetto stesso, con il prenderlo in mano, come spesso tentano di fare i bambini. In molti negozi, specie quando gli oggetti sono preziosi o attraenti, compare accanto a loro la scritta: “si prega di non toccare”. Precoce scrittore di cose concernenti la porcellana, nella sua seconda pubblicazione (Il collezionista privato) Utz scriveva: “Un oggetto, chiuso nella teca di un museo, deve patire l’innaturale esistenza di un animale in uno zoo. In ogni museo l’oggetto muore – di soffocamento e degli sguardi del pubblico – mentre il possesso privato (3) conferisce al proprietario il diritto e il bisogno di toccare. Come il bambino allunga la mano per toccare ciò di cui pronuncia il nome, così il collezionista appassionato restituisce all’oggetto, gli occhi in armonia con la mano, il tocco vivificante del suo artefice. Il nemico del collezionista è il conservatore del museo. In teoria, i musei dovrebbero essere saccheggiati ogni cinquant’anni e le loro collezioni dovrebbero tornare in circolazione...” (p. 18).
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Per proseguire la lettura si rimanda a http://www.rivistadipsicologiaclinica.it/ojs/index.php/rpc/article/view/155/474?fbclid=IwAR1JLlI4wkD7UjHIHh_2aRHRLqdtTq1uX5bpAFsz0XKNQ3lbRTuXb9aQYqY
*Già professore ordinario di Psicologia clinica presso la Facoltà di Psicologia 1 dell’Università “Sapienza” di Roma, membro della Società Psicoanalitica Italiana e dell'International Psychoanalytical Association. Direttore della Rivista di Psicologia Clinica e della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica – Intervento psicologico clinico e analisi della domanda.
(1) Si veda, tra l’altro, Carli, R., & Paniccia, R.M. (2003). Analisi della domanda. Teoria e intervento in psicologia clinica. Bologna: Il Mulino.
(2) Chatwin, B. (1988). Utz. London: Jonathan Cape (trad. it. Utz, Adelphi, Milano, 1989).
(3) Il corsivo è mio.
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