di Massimo Ammaniti, La Repubblica, 28/04/2010
In una novella del 1922 Stefan Zweig racconta la follia omicida che esplode nelle popolazioni del sud est asiatico, l'Amok, che dà anche il titolo al libro. Come racconta il medico protagonista del racconto: «è più che ebbrezza... è una follia rabbiosa, una specie di idrofobia... un accesso di monomania omicida, insensata, non paragonabile a nessun' altra intossicazione alcolica». Come l'amok altri disturbi psichici colpiscono gli uomini del sud est asiatico, come ad esempio il koro che comporta la certezza che i genitali si possano ritrarre all' interno del proprio corpo oppure lo zar nel Medio Oriente che provoca la convinzione di essere posseduti dagli spiriti con episodi dissociativi di risa e di grida.
A questo proposito antropologi ed etnopsichiatri hanno ampiamente documentato come le malattie mentali nel loro sviluppo e nella loro espressione siano fortemente influenzate dall'ethos della cultura del luogo, come hanno dimostrato anche gli studi di Ernesto De Martino nel sud dell' Italia secondo cui il disturbo psichico costituirebbe una crisi della "presenza" all'interno della propria cultura. E come le malattie mentali assumono fisionomie diverse nelle varie culture, così possono cambiare nel corso del tempo, ad esempio la grande crisi isterica che si osservava ai tempi di Jean-Martin Charcot in Francia oggi è praticamente assente nella popolazione psichiatrica.
Ma come la globalizzazione influisce sui comportamenti e sui valori collettivi, creando una sorta di omogeneizzazione dei vari gruppi umani, succede la stessa cosa per le malattie mentali? E' stato da poco pubblicato un libro di un giornalista americano Ethan Watters Crazy like us: The Globalization of the American Psyche ("Pazzi come noi: la globalizzazione della psiche americana"; Free Press, USD 26), che racconta come gli occidentali abbiano diffuso aggressivamente nel mondo modelli e conoscenze psichiatriche ormai da tempo. In nome della scienza si è imposto un modello della malattia mentale che si basa su un'alterazione biologica del cervello e che serve a sconfiggere convinzioni prescientifiche addirittura animistiche, secondo cui la persona affetta da disturbi psichici sarebbe posseduta da spiriti maligni che si sono impadroniti della sua anima. Da una concezione quasi magicao addirittura etica della malattia, considerata come la giusta punizione per dei comportamenti iniqui o disdicevoli, si è passati ad una concezione scientifica che classifica il malessere psicologico attraverso una serie di sintomi, che possono essere riconosciuti con precise procedure valutative.
Watters viaggiando dalla Cina alla Tanzania ha indagato come è avvenuto in questi ultimi decenni il contagio, che come un virus ha piegato le difese antropologiche delle comunità di molte regioni del mondo. E' quello che è successo in passato con i missionari, ma oggi la penetrazione avviene attraverso altre strade. Un esempio particolarmente emblematico è quello che si è verificato dopo lo tsunami nei paesi del sud est asiatico. Operatori medici e psichiatrici sono intervenuti in queste zone per aiutare le popolazioni portando nuove etichette psichiatriche, come il disturbo post-traumatico da stress per designare le sofferenze psicologiche delle vittime dello tsunami.
Non più un'esperienza soggettiva di preoccupazione, di tensione oppure di terrore ma un'etichetta neutrale di un disturbo che spiega tutto e che può essere curato nella maggior parte dei casi con la somministrazione di psicofarmaci.
E gli anticorpi naturali della comunità, ossia quell' insieme di comportamenti e di aiuti spontanei che si attivano attorno alle persone in difficoltà da parte di familiari, amici e vicini vengono scoraggiati dalle categorie psichiatriche che affidano agli operatori sanitari la soluzione della sofferenza personale.
Ma le vie di penetrazione possono essere anche più drastiche; come racconta Watters, una delle grandi compagnie farmaceutiche ha tentato di modificare la percezionee la stessa esperienza della depressione nel mondo giapponese attraverso una campagna multimilionaria di marketing. Un'altra osservazione di prima mano sul contagio occidentale è quella di Sing Lee, uno psichiatra dell' Università di Hong Kong, che durante gli anni ' 80 e ' 90 aveva studiato una forma rara e specifica del mondo cinese di anoressia, che non comportava diete insistenti oppure la paura di diventare grassi. E mentre stava per pubblicare i suoi dati e le sue osservazioni scientifiche avvenne ad Hong Kong un evento che oscurò completamente il lavoro di Sing Lee: un'adolescente anoressica morì per strada in seguito ad un collasso. I giornali che ne diedero la notizia si rifecero ai Manuali Diagnostici occidentali, utilizzando anche il parere di molti psichiatri, che non erano in grado di riconoscere la specificità della sindrome cinese.
Si tratta di un' operazione di "bulldozing" ossia di stravolgimento della psiche umana, che va ben aldilà del disturbo psichico ma che investe la stessa esperienza personale di sofferenza e di conflittualità psicologica.
E questa operazione è iniziata negli ultimi 50 anni da parte degli operatori psichiatrici, una sorta di alfabetizzazione medica che ha introdotto una concezione della malattia mentale nella quale il malato non ha una responsabilità personale. Si potrà obiettare che questa concezione scientifica potrebbe sconfiggere lo stigma e la vergogna sociale dal momento che tutto dipende da un'alterazione del cervello. Uno studio effettuato nell'Università di Auburn non sembra tuttavia confermare che la narrazione medica del disturbo psichico sia più positiva per i familiari rispetto alla narrazione psicologica legata ad eventi traumatici del passato, perché la prima porta con sé la convinzione che nel disturbo psichico ci sia qualcosa di alterato in modo irreversibile e che non può essere sanato in alcun modo. D'altra parte nella storia occidentale si è già percorsa questa strada con lo psichiatra Philippe Pinel, che durante la Rivoluzione Francese liberò i malati mentali dalle catene che li tenevano legati al mondo del crimine e del vagabondaggio per ridare loro il nuovo statuto di malati, ma senza che questo evitasse lo stigma sociale e l' emarginazione. Le conclusioni di Watters sono piuttosto sconfortanti, c'è il rischio che i modelli psichiatrici importati creino un disorientamento nelle concezioni di sé strettamente legate alla cultura dei luoghi accelerando il disorientamento personale che costituisce il nucleo del malessere psicologico.
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